Netsukuku: che fine ha fatto la possibile rete del futuro?

Vi siete mai chiesti cosa succederebbe se da iTunes non riusciste più ad acquistare canzoni, non poteste più accedere alla vostra casella di posta, non aveste più la possibilità di usare Facebook, Twitter e i servizi che di solito usate? Più in generale, vi siete mai chiesti cosa succederebbe se all’improvviso Internet si spegnesse? Molto probabilmente, si faticherebbe ad accettare una realtà del genere, in un mondo così interconnesso come quello attuale, e con la prospettiva di puntare sempre più all’online, anche e soprattutto grazie al cloud. Ma più in generale, una domanda risulta molto importante: quale può essere l’alternativa a Internet?

Si è già parlato, spesso, di alternative, di una sorta di Internet 2, ma quasi mai si è passati dalle parole ai fatti. Eppure, un gruppo di ragazzi di Catania, Freaknet, ci riuscì: Netsukuku. Il progetto, nato nel 2003 e diventato funzionante nel 2005, prevede essenzialmente un funzionamento semplice tanto quanto efficace: ogni computer della rete è un suo nodo, una parte integrante. E’ una rete di tipo peer-to-peer, che prevede il collegamento diretto tra tutti i computer appartenenti a Netsukuku. Ma peer-to-peer non è inteso come quello che contraddistingue le reti di file sharing, ad esempio: qui non vi è un server a gestire ed effettuare il collegamento, non vi sono i DNS. Il collegamento viene definito “puro”, senza intermediari, ognuno è server dell’altro, e ognuno garantisce a Netsukuku la possibilità di vivere ed espandersi. Ma proprio questa possibilità di usare ogni computer come nodo della rete è il punto forte: se uno di essi venisse spento, non cadrebbe la rete, che proseguirebbe l’attività attraverso gli altri nodi rimasti accesi.

Ma Netsukuku non è solo una connessione libera e slegata da server centrali: è anche una connessione anonima. Infatti, l’IP associato a ogni nodo della rete è completamente casuale, rendendo impossibile il tracciamento fisico e geografico del computer a cui appartiene. Anche i nomi di dominio sfuggono alle autorità: il tutto viene gestito dall’ANDNA (Abnormal Netsukuku Domain Name Anarchy), che sostituisce i DNS e ne ridistribuisce i compiti tra tutti i nodi della rete. Il tutto con consumi di risorse contenuti.

Come viene tenuta però in piedi Netsukuku? Non è solo questione di nodi, ma anche di protocollo di rete. L’uso dei protocolli tradizionali risulterebbe deleterio, in quanto bisognosi di consistente spazio ed enormi risorse. Il protocollo Npv7 va a risolvere proprio questo problema, grazie a un nuovo tipo di algoritmo a frattali che consentono di comprimere praticamente all’infinito tutta la struttura di rete di Netsukuku, occupando quindi poco spazio per ogni nodo attivo. Una rete che si può applicare a qualsiasi tecnologia esistente: rame, fibra ottica, wireless. Libera, anonima, efficiente e multiuso. Basta avere un computer con Linux (non sono stati fatti porting per Mac OS X e/o Windows), scaricare gli appositi pacchetti dal sito di Netsukuku e si può diventare parte di questa rete. Se lo si vuole, grazie alla sua natura libera si può anche contribuire a migliorarla.

Bello, vero? Peccato che da un po’ non vi sono sue notizie. Dopo un periodo di fama tra il 2009 e il 2010, con articoli su varie fonti tra cui Punto-Informatico e Wired, di Netsukuku non sono più emerse notizie. Il progetto è ancora vivo, ma non si hanno indicazioni su novità implementate o su sue applicazioni di più vasta scala. Il suo principale curatore, Andrea Lo Pumo, nel 2009 è stato ammesso a Cambridge, nell’ambito di un master in Advanced Computer science, finanziatogli da Telecom Italia. Dunque l’interesse c’è, oppure c’era, anche da parte degli operatori telefonici. Perché allora non si sa più nulla? Netsukuku potrebbe essere il futuro dell’Internet che conosciamo oggi, ma senza una adeguata preparazione nel presente, rimane una incognita riguardo a un suo eventuale uso su larga scala.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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