Forse una delle tecniche fotografiche più discusse è l’HDR, acronimo per High Dinamyc Range. Lo scopo primo del fotografo che utilizza questa tecnica è sopperire alle difficoltà del sensore in quanto a riproduzione della gamma dinamica, ovvero la capacità di “catturare” informazioni utili laddove vi siano aree di luminosità molto differenti. Si possono scattare 3 foto con esposizioni differenti, una con le impostazioni di esposizione “corretta” (quella indicata dall’esposimetro automatico nelle modalità PASM) ed altre due con sottoesposizione e sovraesposizione di 1, 2 stop (o anche 1/3, 1/2, ecc..). Alcuni corpi macchina permettono di selezionare direttamente on camera il numero di scatti (3 – 5 – 7 – 9) e l’intervallo di stop tra uno e l’altro, grazie alla funzione “bracketing”. In fase di post produzione le immagini vengono allineate automaticamente dai diversi programmi di gestione dell’HDR (come Hydra Pro) anche se l’utilizzo di un cavalletto è praticamente obbligatorio per ottenere buoni risultati. Una fase critica è quella del tone mapping dove, per semplificare, è possibile decidere diversi criteri di fusione delle zone sottoesposte o sovraesposte per creare una immagine finale realistica.

Il motivo principale per cui questa tecnica è fortemente discussa è la facilità con cui si possono creare immagini irreali e di dubbia qualità. Potete giudicare voi stessi semplicemente digitando “bad hdr” su Google. Esistono anche ottimi esempi di utilizzo pulito dell’HDR, ma è lo strumento in sè che spesso mostra dei limiti, faticando a guadagnarsi uno spazio nel workflow dei professionisti, che tendono a preferire i sempre affidabili filtri GND per gestire le differenze di luminosità tra cielo e terra o una doppia esposizione da fondere manualmente.

Da poco tempo a questa parte il fotografo ha a disposizione un nuovo modo per gestire i propri scatti in HDR, che cambia radicalmente le carte in tavola. Adobe Lightroom ha introdotto con la versione 4.1 la funzione HDR PRO a 32 bit (funziona con tutte le versioni successive, Lightroom 5 compreso). Per utilizzarla abbiamo eseguito una serie di scatti a diversa esposizione, nell’esempio sottostante 5 foto con 1 stop di differenza tra una e l’altra (la prima è quella “corretta”, poi le due sottoesposte ed infine quelle sovraesposte).

hdr-pro

Dopo aver importato e selezionato tutte le immagini, si clicca su Foto / Modifica in / Unisci come HDR Pro in Photoshop. A seguito dell’elaborazione automatica si ottiene un pannello con tutti i controlli per eseguire il tone mapping, e qui si deve selezionare “32 bit” dal pannello di controllo, ottenendo il seguente istogramma.

32bit

Sono solamente due le opzioni disponibili, la rimozione dei “ghosts” (grazie alla quale Photoshop cerca di eliminare eventuali soggetti che si sono mossi tra i vari scatti) e lo slide sotto l’istogramma. Quest’ultimo permette di modificare il punto di bianco che per evitare qualsiasi bruciatura va posto fuori l’istogramma.

Confermando l’operazione con OK, si aprirà su Photoshop l’immagine finale del “merge to HDR” e, salvandola, verrà memorizzata come .tif a 32 bit (che ritroveremo subito anche in Lightroom). Da questo punto si può procedere all’elaborazione della foto come fosse un normale scatto, ma si noterà immediatamente che le informazioni e la gamma dinamica saranno incredibilmente estese. Grazie a questa soluzione si può evitare il tone mapping e, di fatto, ritrovare in elaborazione un .tif che assomiglia molto ad un “RAW del futuro”. Qui sotto il risultato della elaborazione ottenuta utilizzando solo i comandi di Lightroom:

hdr-pro-32

Alessio Andreani

Special Editor - Sono nato a Loreto, nelle Marche. La fotografia occupa gran parte del mio tempo, sia per lavoro che per passione, due aspetti che a volte coincidono. Vivo a Milano. Pagina Facebook

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