Due manager di Apple Italia indagati per dichiarazione dei redditi fraudolenta

Proprio il giorno successivo a quello in cui in cui il deputato del PD Francesco Boccia torna parlare della cosiddetta Web Tax o Google Tax, due manager di Apple Italia, i cui nomi sono ancora riservati, sono stati indagati dalla Procura della Repubblica di Milano con l’ipotesi di reato di dichiarazione dei redditi fraudolenta con l’aggravante della continuità nel tempo.

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Il delitto si consuma nel momento in cui, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 74/2000, si indichino elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni annuali, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto o sui redditi. La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato tre categorie di “operazioni inesistenti”:

  1. operazioni mai effettuate (invalidità oggettiva: fattura per l’acquisto di un prodotto o servizio mai avvenuto);
  2. la sovrafatturazione: fatture di importo ben superiore rispetto al valore del bene (es: Tizio acquista una bottiglia di acqua a € 1,00 ma riceve dal venditore una fattura di € 100,00);
  3. operazioni effettuate tra parti diverse (Tizio compra la bottiglia di acqua da Caio ma riceve la fattura da Sempronio. Per la Corte di Cassazione si ha, in questo caso, invalidità soggettiva, essendo diverso il soggetto che emette la fattura che, quindi, essendo riferita ad una operazione di fatto mai avvenuta non può essere detratta dall’imponibile come costo).

In questo modo, i due avrebbero nascosto al fisco italiano 1 miliardo e 60 milioni di euro di elementi attivi (di cui € 206.000.000,00 nel 2010 e € 853.000.000,00  nel 2011), ossia quegli elementi che concorrono alla formazione dell’imponibile sul quale vengono poi calcolate le imposte e le tasse.

Secondo il sostituto procuratore Adriano Scudieri (che sarà coadiuvato nell’inchiesta dal procuratore aggiunto Francesco Greco), la sede legale di Apple in Italia era il vero e proprio cuore pulsante del mercato interno e, quindi, non era una società di mero supporto al canale di vendita europeo che, come molti di noi sanno, ha sede in Irlanda ed è gestito dalla Apple Sales International, la quale si occupa anche di contabilizzare i profitti dei vari mercati nazionali, riuscendo così a pagare le tasse nella terra dei trifogli in cui, notoriamente, vigono aliquote molto più basse rispetto alle nostre.

Proprio per questo i pubblici ministeri hanno disposto il sequestro di materiale informatico e telefonico nella sede di Apple Italia a Milano, in piazza San Babila. Avverso il provvedimento è già stato proposto il ricorso per il dissequestro del materiale dall’avvocato dei due manager Paola Severino, ex ministro della giustizia.

L’attività di indagine è stata sinora svolta con il supporto dell’Autorità Doganale di Milano che avrebbe rintracciato indizi gravi (ossia consistenti e resistenti a qualsiasi obiezione) circa la sottrazione di somme dall’imposizione dell’IRES (l’Imposta sui Redditi delle Società), anche sulla base di dichiarazioni rilasciate dagli stessi clienti di Apple (anche se, su questo punto, si potrebbero avanzare parecchie contestazioni ed obiezioni, non potendo, a mio avviso, un cliente finale essere certo del comportamento illegale della società).

Sembra che in passato fosse stato aperto un altro fascicolo nei confronti di Apple Italia con l’ipotesi di frode fiscale, poi archiviata.

Dunque si torna a parlare del tema di grande attualità dell’imposizione fiscale irlandese di cui godono tutte le più grandi multinazionali operanti nel settore della tecnologia e dei servizi informatici. È da precisare, comunque, che è la stessa Comunità Europea (che di recente ha posto sotto osservazione tale escamotage) a permettere passivamente questi meccanismi tramite dei “buchi” all’interno della normativa fiscale sul commercio interno. Il problema potrebbe essere risolto solo attraverso una legislazione tributaria uniforme per tutti i paesi aderenti alla UE, ma come è facile capire, è un progetto davvero difficile da poter realizzare in poco tempo.

Prima di condannare a priori il comportamento di Apple e dei suoi manager, ricordiamo che la spinosa questione è ancora nella fase delle indagini preliminari e dovranno ancora succedersi tre gradi di giudizio prima che possa emergere una verità processuale definitiva, anche perché, a meno di un cambio di contestazione di reato all’ultimo momento, mi sembra poco probabile (ma non impossibile) che Apple Italia possa aver ricevuto fatture o altri documenti rientranti nelle tre categorie sopra elencate da altri soggetti senza che questi siano stati coinvolti nelle indagini.

Elio Franco

Editor - Sono un avvocato esperto in diritto delle nuove tecnologie, codice dell'amministrazione digitale, privacy e sicurezza informatica. Mi piace esplorare i nuovi rami del diritto che nascono in seguito all'evoluzione tecnologica. Patito di videogiochi, ne ho una pila ancora da finire per mancanza di tempo.

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