I problemi di iCloud nascono da una profonda disorganizzazione

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Apple è stata una delle prime aziende a credere nel cloud e lo ha dimostrato con una sfilza di servizi che hanno avuto inizio nel lontano 2000 con iTools. Tuttavia l’evoluzione di questo settore in casa Cupertino è stata particolarmente turbolenta ed ha subito un continuo rebranding diventando prima .Mac, poi MobileMe e infine iCloud. Nei vari passaggi si sono persi anche alcuni servizi, ma l’idea è sempre stata quella di fornire contenuti sincronizzati tra i vari computer con Mac OS X e, successivamente, anche dispositivi iOS.

Steve Jobs era particolarmente legato ad iCloud, piattaforma che ha introdotto nel 2011, poco prima di lasciarci. Tuttavia 9to5mac ha portato alla luce un report interessante di The Information nel quale si punta il dito sul più grande limite di questo servizio. Si parla di “deep organizational issues”, ovvero di un problema sostanziale alla base di tutto: la mancanza di organizzazione. A quanto pare all’interno di Apple non esiste un team dedicato ad iCloud e si procede nello sviluppo del servizio con interventi isolati, senza una vision complessiva ben delineata. Il passaggio del testimone da un gruppo di lavoro all’altro è causa anche di alcuni problemi nello sviluppo, nonché della lentezza nell’implementazione di nuove funzioni. Si fa l’esempio della libreria foto iCloud, che doveva arrivare con iOS 8 per poi slittare ad una versione successiva, ma rimanendo ancora in beta e senza una controparte per Mac. Questa disorganizzazione, secondo una fonte interna, è la causa della lenta progressione di iCloud e dei disservizi per gli utenti. L’augurio è che in Apple venga individuato un team di sviluppo che possa occuparsi solo di questo a tempo pieno, al fine di migliorare l’affidabilità e l’esperienza d’uso di iCloud.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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