Sin dal lancio di Siri avvenuto con l’introduzione di iPhone 4S è stato subito chiaro che Apple avrebbe investito molto per migliorare l’assistente virtuale, che, peraltro, sarà al centro del prossimo keynote del 9 settembre. Infatti, Siri fa da collante e da motore per tutti i dispositivi mobili di Cupertino e, presto, anche per Apple TV (e mi auguro, in un futuro abbastanza prossimo, di trovarla anche in OS X). Dunque, non stupisce che Apple stia investendo molto per migliorare l’assistente, tanto da aver iniziato la ricerca di almeno altri 86 dipendenti, tutti esperti nel campo dell’automazione e dell’intelligenza artificiale, sponsorizzando (come spesso accade in USA) alcuni dottorati di ricerca per essere sicura di assumere le migliori menti in circolazione. Del resto Google Now, il suo diretto concorrente, è molto più avanti per alcuni aspetti, come, ad esempio, la capacità di riconoscimento vocale o quella di prevedere le operazioni che effettuerà l’utente, i percorsi abituali che percorrerà o le ricerche in rete. La stessa Cortana di Microsoft, per altri aspetti, è persino più perspicace di Siri e la sua presenza in Windows 10 è certamente un plus da non sottovalutare se si sta pensando all’upgrade del sistema operativo del proprio computer.
La sfida più grossa per Apple è, però, quella di preservare i dati e le abitudini dei propri utenti, rispettandone la privacy: infatti, a differenza dei servizi concorrenti, le informazioni che permettono al Centro Notifiche in iOS 8 ed a Proactive nel prossimo iOS 9 di elaborare informazioni inerenti alle preferenze degli utenti non sono salvate sui server aziendali, bensì archiviate sul dispositivo. Questa apprezzabile scelta comporta, ovviamente, un maggiore sforzo per programmare algoritmi in grado di offrire prestazioni migliori di Google Now senza poter sfruttare la potenza del cloud computing.