SaggeInterviste: alla scoperta di Digitalia

Io adoro i podcast. Da quando li ho scoperti ho completamente abbandonato la radio, anche perché la musica, oramai, la si ascolta in streaming. Ne seguo diversi, tra cui 2024 di Radio 24, Fantascientificast, Ricciotto, Discorsi Fotografici, oltre a tutti quelli del network EasyPodcast, di cui fanno parte anche il SaggioPodcast e PixelClub. Uno che non può mancare nella lista dei preferiti di ogni appassionato di tecnologia è Digitalia. Nato nel lontano 2009, è probabilmente uno dei primi e sicuramente il più longevo esperimento di radio digitale italiana. Chiamarlo solo “podcast” è riduttivo, in quanto la qualità della produzione garantita dagli strumenti (hardware e software) e dalla maestria di Franco Solerio (il Dok) la pone su un livello molto più elevato. In generale possiamo riconoscere due tipi di podcast: quello “originale” ha una produzione più artigianale, con i commentatori che chiacchierano informalmente, mentre quello “radiofonico”, sempre più diffuso, è la trasposizione diretta delle trasmissioni FM (come ad esempio 2024). Digitalia si pone nel mezzo, in quanto ha la qualità di quest’ultimo ma mantiene un tono discorsivo e piacevole, come un vero podcast deve fare. Oggi parliamo con Franco Solerio, colui che ha creato la trasmissione di informazione tecnologica più seguita dagli italiani.

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Ciao Franco e grazie di aver accettato di partecipare a questa intervista. Per riscaldarci inizio col chiederti la cosa più scontata: come e quando è nata l’idea di Digitalia?

Ciao Maurizio, prima di tutto grazie a te per questa opportunità. Rispondo subito alla tua domanda: Digitalia è nata in occasione di un incontro che facemmo nell’autunno 2008, un pranzo organizzato da entusiasti di podcasting della prima ora presso il loro agriturismo tra le colline del Barolo. Invitarono i principali podcaster indipendenti di allora, eravamo veramente agli albori. Mi ricordo tra gli altri c’erano Andrea “il Nissardo”, PB dell’Everyday Show e Carlo Becchi di Tecnica Arcana. Io registravo RockCast Italia dal 2005, ma mi ero un po’ stancato di una trasmissione completamente orientata alla musica. Chiacchierando durante una pausa con Carlo Becchi si rifletteva sul futuro e in particolare su quali fossero gli argomenti a noi congeniali e che avrebbero avuto maggiore presa sul pubblico che allora e nei successivi anni si sarebbe avvicinato all’ascolto dei podcast. Non so se furono i fumi del Barolo o l’obnubilamento digestivo dei formaggi, ma l’immagine che ci venne in mente fu quella di un “Porta a Porta del digitale”. Mi rendo conto che il paragone faccia rabbrividire; era una metefora un po’ alticcia per intendere che a un paese che si stava avviando (speravamo) verso un futuro di cultura digitale sarebbe stato utile un talk show di approfondimento sui temi che ai cittadini digitali stanno cuore.

Dall’idea, poi, si deve passare alla realizzazione. Non sono riuscito a ripescare il primo episodio pilota di aprile 2009 (né su iTunes, né sul vostro sito), ma sarei curioso di sapere se fin da principio avevate la sigla, gli stacchetti e tutti gli elementi che caratterizzano le vostra attuale produzione.

Sì, certo. Dall’idea all’episodio zero sono passati alcuni mesi, ci siamo presi il tempo per una buona pianificazione: partecipanti, impostazione editoriale, temi, struttura generale dell’episodio erano tutti ben definiti quando abbiamo cominciato a registrare. Per quanto riguarda sigle, jingle, e stingers vari, ho sempre avuto l’idea che una puntata di podcast debba essere qualcosa di più di una chiacchierata tra alcune persone registrata e pubblicata su internet; la vedo più come una performance dal vivo, che come tale deve avere un ritmo, momenti di crescendo e calando, e tenere alta quando serve l’attenzione di chi ascolta.

Con l’aumentare degli ascolti crescono anche le richieste sui server. Quando avete iniziato a sentire questo limite e come vi siete adattati?

In realtà anche questo è stato pianificato in anticipo. Grazie all’esperienza di RockCast Italia, la trasmissione che producevo precedentemente e che era nata come un hobby per poi crescere nel corso degli anni, avevo ben presente le problematiche che si sarebbero presentate. Abbiamo da subito utilizzato servizi orientati a un mercato prosumer, a pagamento e con regole ben chiare in termini di profilo di costi al crescere della banda consumata. I vari Libsyn, Soundcloud, Amazon, Linode che abbiamo via via utilizzato spaventano spesso il principiante abituato al “tutto gratis” che la rete sembra offrire, ma permettono di crescere in libertà e di non incappare in incidenti di percorso più avanti. Più volte abbiamo visto colleghi impossibilitati a proseguire, o fortemente ostacolati, magari con un dominio preso in ostaggio dal provider low cost di turno.

Allontaniamoci per un attimo dagli aspetti più tecnici, che la mia formazione mi induce ad approfondire. Digitalia riesce ad essere interessante sia per i più informati che per i meno esperti. Qual è il segreto per affrontare tematiche, a volte anche un po’ ostiche, senza allontanare gli ascoltatori meno geek?

Grazie, è un bel complimento. L’equilibrio è difficile da mantenere: da una parte la maggior parte di chi ascolta digitalia è un appassionato di tecnologia, ha piacere all’approfondimento tecnico e si annoia se ogni volta si comincia a descrivere novità e problemi partendo dal bit e il byte. Dall’altra la mission di Digitalia è sempre stata quella di rendere il nostro paese via via più digitale, quindi è nella natura della trasmissione accompagnare chi si affaccia al mondo della tecnologia verso una maggiore consapevolezza di vantaggi e problematiche dei mezzi che internet e informatica ci mettono a disposizione. Penso il segreto sia stato tener sempre in mente che il centro di gravità di ogni argomento debba essere la persona, l’essere umano, la società: certo ci piace parlare delle caratteristiche del nuovo iPhone o delle novità dei nostri social network preferiti, ma la discussione deve il più possibile girare attorno a cosa significhino le novità per la vita delle persone, il loro lavoro, i rapporti interpersonali, la società.

Tra le voci di Digitalia si annoverano diversi professionisti ed abilità diverse. Iniziando da te, che oltre ad essere un medico sei anche un programmatore, passando per il cylonprof Massimo De Santo, l’esperto di web marketing Giulio Cupini e gli altri. Quali sono state le vicessitudini che hanno portato alla formazione di questa squadra eterogenea e vincente?

Agli esordi eravamo solo Carlo ed io: il piano iniziale era quello di avere un gruppo ampio di ospiti da invitare a rotazione a seconda degli argomenti e delle competenze di ognuno. Ci siamo resi presto conto che per mantenere alta la qualità della trasmissione sarebbe stato necessario fornire a ogni ospite materiale audio quali microfono, cuffie, interfaccia audio e informazioni su come configurare e usare il tutto. Alla fine abbiamo puntato su un gruppo più ristretto, ma eterogeneo nei suoi componenti. Il prof. De Santo è stato il primo ad essere arruolato in pianta stabile: io e Carlo eravamo già stati suoi ospiti ad alcuni convegni sul digitale organizzati dal dipartimento che Massimo dirige all’Università di Salerno. Preparatissimo sugli aspetti tecnici, ma dotato di sensibilità non comune riguardo gli aspetti umanistici e sociali delle tecnologie: non potevamo non averlo con noi. E poi diciamocelo, quanti podcast di tecnologia al mondo hanno tra le voci un vero professore universitario di “Reti di Calcolatori”? Michele Di Maio invece era una mia vecchia conoscenza: blogger su tematiche musicali/rock ma appassionato di tecnologia, incarnava l’animo ludico del videogiocatore smanettone appassionato di Linux e mondo Open Source. Quando arrivò su Digitalia era a metà del guado tra mondo universitario e mondo del lavoro. Da allora è maturato, lavora in Samsung di cui conosce ogni aspetto e segreto, ma rifiuta sempre di rivelarci indiscrezioni e anteprime: fa un po’ il difficile, in realtà credo abbia paura di essere deportato in Corea.

Giulio Cupini è il nostro marketing-man eclettico. Da una preparazione umanistica in ambito turismo e beni culturali si è via via specializzato nel mondo della promozione e del marketing online, fino a diventare grande esperto di SEO e di tutto quello che ruota attorno a motori di ricerca, pubblicità e online brand management. Ultimo in ordine di arrivo, almeno nella lineup ufficiale, Francesco Facconi: sviluppatore poliedrico con esperienze e collaborazioni sia nel mondo delle startup che nello sviluppo corporate, si muove agilmente tra piattaforme iOS e Android, anche se il suo cuore batte per la Smart TV, su cui ha anche scritto un libro. Giulio e Francesco sono stati prima ascoltatori di Digitalia, molto attivi nella vita della nostra community su Twitter, sono stati uno alla volta imbarcati in diversi periodi in cui per esigenze personali altri membri della squadra erano impossibilitati. Insomma sono arrivati come tappa-buchi… e sono rimasti in pianta stabile. È un motivo di grande soddisfazione l’aver coltivato un’audience che non solo è cresciuta e cresce via via con noi, ma quando c’è bisogno ci fornisce nuove voci e partecipanti.

Ogni settimana, salvo qualche rara pausa, Digitalia arriva puntuale nei nostri dispositivi. In diretta, il lunedì sera, e subito dopo tramite Podcast. Quanto è difficile mantenere questa cadenza? Soprattutto considerando che vi sono diverse persone da mettere insieme e ognuna di queste è impegnata col proprio lavoro.

È sicuramente impegnativo, ma è uno degli ingredienti fondamentali del successo di una trasmissione. La nostra “panchina lunga” ci permette una certa rotazione, ma senza la disponibilità e la dedizione di tutto il team sarebbe stato impossibile arrivare al successo attuale. Per conquistare l’ascoltatore un podcast, come peraltro anche un programma radiofonico o televisivo, deve entrare in qualche modo nelle sue abitudini, nella sua routine settimanale. Per uno spettacolo TV è più semplice, la natura fissa nel tempo del palinsesto rende l’integrazione nella vita dello spettatore più automatica: se mi piace il programma del lunedì alle 21, faccio in modo di organizzare i miei lunedì in modo da trovarmi davanti alla TV a quell’ora. Per un podcast questo automatismo non è così assoluto, e questo può essere un bene in quanto l’ascoltatore può ascoltarti in qualsiasi momento, ma rende anche più difficile entrare a far parte della sua routine, e quindi “intensificare il rapporto”. Uscire tutte le settimane lo stesso giorno, possibilmente alla stessa ora, aiuta a rinforzare questo effetto. Quando qualcuno mi chiede cosa deve fare per mettere su un podcast di successo gli dico: scegli un giorno della settimana, poi prendi il calendario e fai una bella croce con la matita rossa su quel giorno, per tutte le settimane dei prossimi 2 o 3 anni.

Nei vostri sei anni di attività avete portato avanti diverse campagne di sensibilizzazione sui temi digitali che vengono spesso trascurati dalla nostra classe politica. È mai successo che vi abbiano contattati dalle “alte sfere” del nostro governo per un confronto diretto? Che sia per suggerimenti, complimenti, critiche o persino tentativi di manipolazione?

Cerchiamo generalmente di tenerci un po’ al di sopra del dibattito politico, mantenendo le nostre discussioni su un piano più di riflessione sociologica e filosofica, che di politica spicciola. Una sola volta mi ricordo abbiamo avuto un episodio di “attrito”: dopo aver scanzonatamente preso in giro l’iniziativa di un politico che voleva sembrare particolarmente edotto nei meccanismi della tecnologia e di internet, durante la diretta della settimana successiva ci siamo trovati con i server sotto un bell’attacco DDOS con successivo ricatto e richiesta di rettifica. Non è stato particolarmente piacevole, ma è durato poco. A parte aver visto prima battezzato con il nostro nome, e poi in seguito affossato, un decreto legge dedicato alla digitalizzazione del paese, direi che con la politica non abbiamo avuto altri punti di contatto.

I media tradizionali sembrano aver raggiunto il capolinea, specie in Italia dove l’adattamento alle nuove tecnologie avviene lentamente e in modo disorganizzato. Oggi la maggior parte delle persone si tengono informate tramite Facebook e la disinformazione sta prendendo il sopravvento. Pensi sia possibile invertire questa tendenza e fare arrivare le voci più autorevoli alla massa invece che a quella nicchia che le ricerca e seleziona con estrema cura e competenza?

Una società composta esclusivamente da individui illuminati la sognava Francis Bacon nel 1600, mi sa che per quella si siano perse le speranze. Ogni società avrà sempre una massa piuttosto superficialmente informata, per ragioni di cultura, tempo e opportunità. La massa di oggi che si nutre di bufale su Facebook è la stessa che cinquant’anni fa si nutriva di chiacchiere da bar, o da pianerottolo. La differenza è solo che il colto ricercatore universitario stava in laboratorio o nelle aule di facoltà, o si esprimeva sui media tradizionali, ma non andava certo al bar sport, e i due mondi semplicemente non venivano in contatto. Oggi con Internet, social network e nuovi media il contatto c’è eccome; mi sembra spesso provochi fastidio e avversione, quando non addirittura scontro frontale. Penso dovrebbe essere invece spunto di contaminazione e miglioramento non solo nel senso di indottrinamento delle masse. Come diceva De Andrè è dal letame che nascono i fiori.

Fare informazione comporta sempre una buona dose di responsabilità, specie se si è molto seguiti come avviene per Digitalia. Oltre a questo bisogna considerare il tempo per informarsi, quello per creare e manutenere l’infrastruttura online, le spese per i server, banda, software e attrezzatura (microfoni, mixer, ecc..). Un sito internet può guadagnare con le pubblicità di fianco ai contenuti (purtroppo anche sopra, alcune volte), mentre in radio è più difficile. Ogni tanto avete avuto qualche sponsor, sempre selezionato con cura per risultare utile ed interessante per gli ascoltatori, ma il sostentamento dell’intero progetto si basa sui vostri produttori esecutivi. Vuoi spiegarci meglio?

Se i nostri colleghi anglofoni, quelli più di successo, fatturano cifre da capogiro con trasmissioni sostenute da sponsor, facendo un semplice rapporto tra popolazione mondiale che parla inglese come prima o seconda lingua e persone in grado di seguire una trasmissione in italiano, ci si trova di fronte a un rapporto di 30 a 1. Diventa palese che il numero di ascoltatori idealmente raggiungibili, e quindi l’appetibilità per eventuali sponsor e la grandezza in termini economici della sponsorizzazione siano molto più modesti per un podcast in italiano. La strada del podcast dietro un paywall, tentata in passato da qualcuno, si è sempre rivelata fallimentare in un mondo saturo di offerta amatoriale gratuita. Pur rimanendo aperti a eventuali sponsor, con i quali siamo però molto selettivi, abbiamo deciso quindi di prendere ispirazione dal mondo del software: distribuiamo Digitalia gratuitamente, invitiamo i nuovi ascoltatori a scaricare e ascoltare le nostre trasmissioni senza dover pagare, come una trial gratuita di un software. Rendiamo però chiaro in ogni singola puntata che di trial gratuita si tratta, e pur non avendo in atto meccanismi che obblighino al pagamento, invitiamo gli ascoltatori a considerare quanto spendono mensilmente per altre forme di informazione e intrattenimento (Sky, digitale terrestre, riviste, cinema…) e valutare in proporzione quanto valga l’ora e mezza settimanale di informazione che Digitalia porta nella loro vita. In seguito a questo piccolo calcolo invitiamo gli ascoltatori a contribuire economicamente alla produzione di Digitalia attraverso pagamenti online saltuari oppure ricorrenti, come una sorta di abbonamento volontario. Non lo chiamiamo contratto ma “gentlmen agreement”, abbiamo delle categorie esentate come gli studenti, i cassintegrati, e tutti quanti non hanno nella disponibilità economica la possibilità di contribuire, e devo dire che il successo di questo modello ci ha dato delle belle sensazioni riguardo valori che si considerano ormai desueti nella nostra società come l’onestà e la riconoscenza. Digitalia esiste e prospera da 300 puntate grazie all’onestà di un grande numero di Digitaliani. Li chiamiamo “produttori esecutivi” perchè sia evidente che non si tratta di fare una semplice donazione, ma di diventare parte attiva nella produzione di Digitalia.

Su SaggiaMente abbiamo aperto una discussione con i nostri lettori circa il futuro dell’informazione online e, più precisamente, del nostro sito. Ritengo che l’avvento dei content blocker su iOS possa essere una molla determinante per il dilagare di questi strumenti su tutte le piattaforme, anche quelle desktop dove gli ad blocker esistono da anni. Già i ricavi pubblicitari per i tradizionali banner non invadenti sono calati a picco, se ci aggiungiamo anche che una percentuale crescente di navigatori non li vedranno, la sostenibilità dell’informazione “libera” va a farsi friggere. Data la tua esperienza, ritieni che in Italia ci sia la giusta sensibilità da parte dei cittadini per sostenere di tasca propria i progetti più meritevoli?

La sensibilità c’è, i produttori esecutivi di Digitalia lo dimostrano. Quello che manca allo stato attuale è l’educazione. La televisione privata prima, e internet dopo, hanno formato due generazioni di persone convinte che un certo tipo di prodotti siano gratis. Che mentre una fetta di prosciutto viene prodotta con fatica e vada pagata col denaro, i beni immateriali nascano dal nulla, compaiano per magia su uno schermo, e non costino niente. A distorcere questa percezione è stato ovviamente il mercato pubblicitario, che come fai notare tu oggi inizia a mostrare i suoi limiti. L’advertising online ha abbondantemente superato i limiti della decenza: in un mercato completamente deregolamentato ha fatto tutto quello che la pubblicità su TV e riviste non ha potuto, o è stata legalmente tenuta a non fare: disprezzo totale della privacy, invadenza degli spazi dedicati ai contenuti, ostacolo a una esperienza user-friendly della pubblicazione. Oggi la pubblicità è vista così tanto come un fastidio, che qualcuno ha iniziato a domandarsi se non sia forse meglio pagare qualcosina. Gli ad blocker sono una falsa soluzione, perchè pur rimuovendo il fastidio, non eliminano, anzi probabilmente rinforzano l’idea che sulla rete sia tutto gratis. Se chi produce contenuti saprà educare il proprio pubblico alla necessità di corrispondere il giusto per usufruire del prodotto, forse si riuscirà a rendere editoria e media in generale di nuovo sostenibili. Sono necessarie però iniziative innovative, che non abbiano paura di slegarsi da concetti e schemi ormai superati. Sulla rete non posso pensare di pagare 200 euro l’anno di abbonamento al Corriere, altri 200 alla Stampa, 200 dollari al New York Times, 150 a Wired e 200 a Quattroruote per leggere ogni tanto qualche articolo qui e là. Fatemene pagare 300 per un abbonamento onnicomprensivo, 300 all’anno e leggo tutti i quotidiani italiani e le testate online per un anno. Oppure 5 centesimi di euro per ogni singolo articolo, con un sistema automatico e universale tipo Telepass, dopo 10 secondi che il browser è fermo su un articolo parte il pagamento elettronico, 5 centesimi e quell’articolo posso leggerlo per tutta la vita, e che lo stesso account valga per tutte le testate online, in modo che non devo registrarmi e fare la login quando scadono i cookies un milione di volte diverse.

Come ogni leader che si rispetti (concedimi il termine), sei poliedrico e ricco di passioni. Già solo ascoltando Digitalia viene fuori che sei medico, programmatore e velista oltre che divulgatore informatico. Se dovessi sceglierne una sola, quali di queste attività ti dà maggiore soddisfazione?

Mi ritengo più un “gran casinista” che un leader: se mi fai questa domanda in 7 momenti diversi della settimana ti do 7 risposte diverse. Faccio fatica a stare fermo, devo tenere la mente impegnata, ma se faccio la stessa cosa troppo a lungo poi mi stufo. La medicina è sicuramente qualcosa di stimolante, lenire le sofferenze dei tuoi simili è una soddisfazione incredibile, ma anche creare da zero una realtà come Digitalia, e nel nostro piccolo aiutare a crescere e transitare consapevolmente verso il futuro il nostro paese è sicuramente una cosa meravigliosa. Il resto sono hobby.

Digitalia ha raggiunto la puntata 300 qualche giorno fa, un traguardo davvero considerevole anche in virtù della freschezza e della salute di cui gode il progetto ancora oggi. Come avete “festeggiato” l’evento?

Gli ascoltatori hanno scaricato e ascoltato 300 puntate di Digitalia perché apprezzano sentir parlare di cultura, società e lifestyle digitale… il modo migliore per celebrare è dargli una ulteriore dose di questi ingredienti, conditi con un po’ di allegria e ilarità, magari con un bicchiere di vino per brindare accanto all’asta del microfono.

Durante gli eventi Apple spesso si sovrappongono la nostra e la vostra diretta audio. Perché non organizzare qualcosa insieme una di queste volte?

Sarebbe un grande piacere e un onore. Aspettiamo insieme iPhone 7?

Certo, ci proveremo senz’altro! Potrebbe essere un evento nell’evento. Probabilmente non sarà facile gestirla sul piano tecnico, ma con l’esperienza tua e di Luca Zorzi penso che ci si possa davvero riuscire. Un’ultima domanda: quali sono le tue fonti di informazione preferite in Italia?

Twitter, Twitter, Twitter e qualche podcast. Curo con molta attenzione la lista delle persone che seguo su Twitter, e automaticamente mi arrivano tutti i link che mi servono per tenermi aggiornato su quanto accade nel mondo della tecnologia, indipendentemente da dove vengano pubblicate (in tutta sincerità: su SaggiaMente si arriva spesso e volentieri). Ho chiuso e dimenticato l’aggregatore RSS ormai da molti mesi. Ascolto poi un buon numero di podcast, la maggior parte sono americani, ma dedico sempre qualche ora all’ascolto di EasyApple e qualche puntata saltuaria degli altri show del network.

Il “quartier generale” di Digitalia lo trovate sulla pagina web digitalia.fm, mentre la community su Twitter usa l’hashtag #digitalia e Franco Solerio è @dokfranco.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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