Recensione: Google Pixel, un buon punto di (ri)partenza

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Voglio confessare una cosa: riguardo ai Google Pixel ho avuto un atteggiamento ondivago. Dapprima attesi con ansia, poi valutati poco positivamente in virtù di alcune mancanze rispetto le aspettative, infine di nuovo tanto attesi, ingolosito dalle prime recensioni internazionali. Insieme con Maurizio, abbiamo cercato di acquistarne uno nei giorni successivi all’entrata in commercio in UK: purtroppo è superfluo dire che non siamo stati i primi, ve ne accorgerete di sicuro confrontando la data di pubblicazione di questa review con altre italiane. Ovviamente a livello di tempistiche non abbiamo eccelso, ma non ci riteniamo in gara contro qualcuno o qualcosa. Il settore è bello proprio perché ognuno ha la sua filosofia di recensione ed esistono singoli punti di vista, che in certi casi possono pure diventare complementari. Penso che l’avrete capito, noi preferiamo metterci di più ma essere sicuri di aver toccato ogni aspetto a tutto tondo, ed è ciò che speriamo pure per la prova che state per leggere.

Ma torniamo ai Pixel. Nonostante il bipolarismo nelle reazioni, in realtà ciò per cui li attendevo è dovuto ad un’insoddisfazione di fondo con il Nexus 5X. Non ritratto quanto scritto nella recensione di allora, al più forse qualcosa riguardo la durata della batteria con i successivi aggiornamenti. Ciò che mi ha un po’ infastidito è quella costante sensazione di ciambella imperfetta dovuta alle scelte progettuali del duo Google/LG, che l’hanno pensato come un fratello minore – e un po’ sfigato – del Nexus 6P. Se il 5X fosse stato affidato anch’esso a Huawei sarebbe andata diversamente, ma non ne avremo mai la certezza. Un famoso detto dice che la storia non si fa né coi se né coi ma, e sono perfettamente d’accordo. Detto questo, quel GB di RAM in meno, il display “solo” IPS, la castrazione di alcune funzionalità lato fotocamera (come la stabilizzazione elettronica) e altre piccole accortezze hanno pesato sul risultato finale. Il vero lato negativo, però, è la costruzione. Ho dimenticato facilmente la EMUI ma non l’ottima scocca metallica di Honor 7 (recensione), che prima del 5X avevo utilizzato come smartphone principale per alcuni mesi. Il ritorno al policarbonato l’ho vissuto come una ferita ancora aperta, che solo il successore avrebbe risanato. Ed eccoci arrivati ad oggi, con un bilancio della mia esperienza col Pixel.

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Caratteristiche principali

Iniziamo parlando dell’hardware. Questa volta Google non ha fatto errori, che prendiate un Pixel oppure il maggiorato Pixel XL, cadrete sempre in piedi per quel che riguarda le caratteristiche. Fatte salve le ovvie differenze fisiche in dimensioni e peso, le divergenze tecniche sostanziali sono solo due: lo schermo, AMOLED protetto da Gorilla Glass 4 in entrambi ma 5″ Full HD per il Pixel e 5,5″ Quad HD per il Pixel XL; la batteria, 2.770 mAh per il primo e 3.450 mAh per il secondo. Ve n’è anche una terza, ma l’approfondirò in seguito. Il resto è identico, con un corpo in alluminio, SoC quad-core Qualcomm Snapdragon 821 dotato di nuclei con architettura ARM personalizzata Kryo (due core viaggiano a 2,15 GHz, gli altri due a 1,6), chip grafico Adreno 530 e 4 GB di RAM. La fotocamera principale è da 12,3 MP con apertura f/2.0, stabilizzazione elettronica, autofocus combinato laser+rilevamento di fase, flash LED a doppia tonalità e registrazione 4K; quella anteriore è da 8 MP, con apertura f/2.4 e in grado di catturare video a 1080p. La connettività prevede 4G LTE fino a 600 Mbps, Wi-Fi 802.11ac dual band, NFC, Bluetooth 4.2, navigazione satellitare A-GPS+GLONASS e un ricco set di sensori in linea con quanto ci si aspetta da un top di gamma (accelerometro, giroscopio, prossimità, luminosità, bussola, barometro). Non manca il rilevatore d’impronte digitali. L’ingresso fisico è USB Type C con velocità da USB 3.0. Per chi se lo chiedesse, sì, il mini-jack per le cuffie è presente. Due i tagli di memoria a disposizione, 32 e 128 GB, non espandibili, e tre le colorazioni: Quite Black, Very Silver e Really Blue. L’esemplare oggetto della prova è un Google Pixel “Quite Black” con 32 GB, proveniente dal Regno Unito.

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La confezione è curata, ma presenta di fatto una sensazione di déjà vu: è molto simile a quella dei Nexus predecessori. In prevalenza bianca, carina ma non suscitante emozioni. A livello di accessori c’è stato qualche passo avanti: niente auricolari, ma perlomeno stavolta i cavi sono due, uno con USB-C da entrambi i lati e l’altro che presenta invece un connettore USB di dimensioni regolari alla seconda estremità. Un’altra carineria è la presenza di un adattatore da USB-C a micro-USB, utile non solo per adattarlo ad altri caricabatterie ma anche per un’altra eventualità di cui parleremo più avanti. A proposito del caricabatterie: non voglio giudicarlo nelle prestazioni, avendo una spina diversa da quelle italiane ho preferito una soluzione diversa. Esteticamente però è un passo indietro rispetto quello ben più compatto del 5X. Non è una questione di spina, dato che il Pixel tedesco presenta quella utilizzata anche dalle nostre parti e ha dimensioni equivalenti. Non essendo possibile acquistare il caricatore Google teutonico, ho optato per prenderne uno di terze parti prodotto da Choetech, economico e dalla solida reputazione (abbiamo già avuto a che fare con Choetech negli scorsi mesi), ma soprattutto sufficiente. La terza differenza di cui parlavo più sopra, infatti, è nei W massimi adoperati in ricarica tra Pixel e Pixel XL: entrambi dispongono di un caricatore da 18 W, ma il modello “piccolo” ne sfrutta solo 15. Poiché il Choetech arriva proprio a 15 W, risulta perfettamente idoneo allo scopo, senza eccessi superflui. Chiaro, se acquisterete un Pixel tedesco, oppure italiano quando e se uscirà dalle nostre parti, non avrete motivo di virare su un altro caricabatterie. Se però avete un Sir Pixel, un Uncle Pixel o un Downunder Pixel, secondo me ripiegare su un prodotto di terzi per la ricarica è una soluzione più elegante e credo anche più sicura che ricorrere ad un adattatore tra spine.

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Design ed ergonomia

Su Twitter qualche tempo fa comparai la differenza qualitativa tra Nexus 5X e Pixel a quella che intercorre tra Volkswagen e Audi. In realtà, anche discutendone con Maurizio, mi sono accorto che non è un paragone propriamente calzante. Sebbene i Nexus fossero realizzati sotto stretta collaborazione di Google, sono a tutti gli effetti prodotti appartenenti alla gamma dell’OEM di origine, LG nel caso del 5X. I Pixel, invece, al di là della partnership produttiva con HTC, sono stati ingegnerizzati quasi interamente a Mountain View. In tal senso, quindi, il paragone automobilistico va ricalibrato considerando due case non appartenenti allo stesso gruppo. Pertanto direi che per me è stato come se da una Škoda Octavia fossi passato a una BMW Serie 3. L’auto ceca gode di buona componentistica (parliamo pur sempre di gruppo Volkswagen), ma a livello di design, materiali e in generale del pacchetto tecnico non può rivaleggiare con la bavarese di analoghe dimensioni, destinata a una fascia di mercato premium (e non dico per sentito dire, essendo salito su entrambe). Il Pixel, in tal senso, è la BMW del mondo Android. Per qualità, cura e prezzo. A seconda delle vostre preferenze, può essere anche un’Audi o una Mercedes, il marchio è ininfluente ai fini di rendere il paragone. Per gli utenti di Nexus 5X che sono scettici su questa mia impressione, li invito alla prima occasione utile di verificare con mano ciò che ho scritto. Magari non concorderanno con me sulla comparativa a 4 ruote, ma sono certo che avvertiranno le nette differenze a favore del Pixel. E l’iPhone? Se lo prendiamo in un discorso generale del mondo smartphone, allora è come comparare tra loro due dei soprammenzionati marchi automobilistici premium. Se la giocano pressoché ad armi pari, almeno esternamente, tanto nella qualità quanto nella delicatezza di alcune finiture.

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Fatta questa mezza divagazione, entriamo nel dettaglio. La scocca in alluminio che ricopre la maggior parte del Pixel è solida, piacevole al tatto. Si ha subito la sensazione di non avere in mano il solito plasticone da mercato di massa. Ha qualche grammo in più ed è un pochino più spesso sia dell’iPhone 7 sia del Nexus 5X, ma di fatto non si nota. Se non fosse che i numeri parlano chiaro (Pixel 143 grammi, 5X 136), avrei giurato che il dispositivo di Google fosse il più leggero. Un punto importante a favore del Pixel, quindi, per quel che riguarda il feeling. Si paga qualcosa in termini di presa, ma lo si può definire un difetto assodato nel passaggio dal policarbonato al metallo. A parte quei primi due secondi di preoccupazione, rimane sufficientemente saldo in mano. Anche se siete fanatici dello smartphone “nudo”, però, una cover non è solo consigliata ma da considerarsi obbligatoria. Ho provato ad usarlo senza per qualche settimana e, in aggiunta ad un piccolo bozzo causato da un drop test accidentale, alcuni segni di sfregamento si sono formati. Alla fine ho ceduto e acquistato una custodia rugged Spigen, che l’ha imbruttito e ispessito un po’ ma perlomeno mi consente di usarlo senza troppe preoccupazioni. Riguardo alla protezione contro acqua e polveri, niente miracoli: è solo IP53, una resistenza minima indispensabile che praticamente qualsiasi smartphone può raggiungere. Scordatevi di portarlo in piscina o in cantiere.

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Senza cover a suscitare maggiore preoccupazione è la parte alta del retro del Pixel. In essa sono racchiusi il comparto fotografico principale e il sensore d’impronte, quest’ultimo molto reattivo nel riconoscimento e utilizzabile pure per scorrere tra le notifiche. La scelta di realizzare quell’area in vetro (più precisamente Gorilla Glass 4) toglie secondo me un po’ di serenità all’utente, perché in caso di caduta si sanno già le possibili conseguenze in termini d’integrità. Per non parlare degli inevitabili graffietti nel corso del tempo. Forse l’hanno fatto per conferire al Pixel una maggiore distinzione dall’iPhone, cui è stato accusato di ispirarsi parecchio (e non si tratta di accuse proprio infondate, diciamoci la verità). Ma facendo così hanno creato un tallone d’Achille non necessario, per quanto sia riuscito sul piano estetico (parere personale, ovviamente). Avrebbero potuto ottenere lo stesso effetto con una finitura in alluminio lucido stile Jet Black: non si sarebbero evitati i graffi, ma almeno le crepe post-caduta probabilmente sì.

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La parte anteriore, con effetto di curvatura 2.5D, è ricoperta anche in questo caso con il Gorilla Glass 4 di Corning, che dovrebbe conferire un’ottima resistenza agli urti (non ho ritenuto opportuno testare un’altra caduta per verificarlo sul campo). Lo strato oleofobico si comporta bene: le impronte sono visibili, ma in modo meno marcato di come invece avviene sul 5X. Sulla parte superiore troviamo la capsula auricolare, un piccolissimo LED bianco di notifica (disattivato per impostazione predefinita), la fotocamera anteriore e il sensore di luce ambientale/prossimità. Avrei qualcosa da ridire sul posizionamento verticale della capsula, non proprio centrato, ma equivale a guardare il pelo nell’uovo. La parte sottostante al display è completamente pulita, contrariamente ai Nexus predecessori che invece prevedevano lì l’altoparlante principale e il LED. Giocando al designer improvvisato, io avrei riportato anche sui Pixel la medesima configurazione. Così invece risulta spazio inutilizzato che va solo ad influire sull’ampiezza dei bordi, che avrebbero potuto essere un po’ più sottili. Una nota, infine, la merita anche il colore: questo “Quite Black” è effettivamente “abbastanza nero” (traduzione letterale) ma non proprio nero. Sembra quasi più un grigio scuro. Personalmente avrei preferito un “Very Black”, ma il risultato rimane comunque notevole.

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Sul bordo destro troviamo rispettivamente il pulsante di accensione/blocco e il bilanciere del volume. Sono in una collocazione comoda, nonché distanziati tra loro al punto giusto, con poco margine di errore, anche grazie alla trama presente sul tasto singolo. A tal proposito, forse sarà uno scherzo della mia vista, ma noto qualche lieve imprecisione nell’allineamento, come se fosse un pochino inclinato verso destra. Può darsi però che a farmi questo effetto ottico sia proprio la trama che lo ricopre, mentre il bilanciere è pulito e rende subito all’occhio l’allineamento corretto. Non voglio perciò considerarlo tra i contro del dispositivo, anche perché per il resto non presentano alcun gioco, altro segno di buona cura. Sul bordo sinistro, invece, abbiamo solo il vano per la nano-SIM. Rispetto al 5X, mi è sembrato richiedere una corsa leggermente maggiore da parte della graffetta, ma anche qui andiamo proprio nelle sottigliezze. L’importante è che il carrellino si estragga con facilità. A tal proposito, faccio notare sulla sua superficie una piccola chicca: è riportato infatti l’indirizzo del quartier generale di Google. 1600 Ampitheatre, Mountain View, California, 94043. In fondo, è anche per queste piacevoli distrazioni che l’azienda guidata da Sundar Pichai è così apprezzata.

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Passando al bordo inferiore, troviamo il connettore USB-C che abbiamo già imparato a conoscere su Nexus 5X e 6P. Riprendendo uno schema visto su altri dispositivi, alla sinistra della porta fisica troviamo l’altoparlante principale mentre alla destra è situato il microfono primario (quello secondario per la cancellazione del rumore è sul retro, accanto alla fotocamera). E il jack cuffie da 3,5 mm? È vivo e saluta tutti dall’alto, essendo posto sul bordo superiore. Google ha preferito agire con maggiore cautela, concedendo almeno un altro giro di giostra alla pur vecchia ma collaudata, diffusa ed affidabile tecnologia audio.

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Display

Passando a parlare del display, ci troviamo davanti a un pannello AMOLED da 5″, con risoluzione Full HD. Ho sensazioni contrastanti, se devo essere sincero. Iniziamo da ciò che mi piace: la tecnologia AMOLED ha consumi minori rispetto ad IPS e questo è assolutamente confermato. Ritengo abbia avuto un suo ruolo nel raggiungimento di buone durate, cosa che approfondirò nel paragrafo dedicato. Anche il livello dei neri è degno di ciò che ci si aspetta da uno schermo del genere. Il problema trovo siano il resto dei colori, un po’ troppo saturi rispetto quanto dovrebbero essere. In assenza di opzioni di taratura (almeno di default; abilitando il tuner dell’interfaccia utente è possibile ottenere opzioni moooooolto basilari per la gestione RGB), non riesco a considerarla una positività. Spero che in uno dei futuri aggiornamenti software Google decida di offrire all’utente la possibilità di configurare la resa cromatica, quantomeno sulla base di preset, in modo analogo a quanto permette la funzione MiraVision presente su tanti smartphone cinesi (e devo dire non agisce affatto male, nella maggioranza dei casi). Promossa invece la visibilità all’aperto, così come la contenuta variazione dei colori guardando dai lati. Da segnalare la presenza della modalità notturna, che agisce sia su input manuale dell’utente sia su una pianificazione automatica. Assente invece il rilevamento della pressione esercitata, alias 3D Touch, ma come vedremo più avanti Google ha fatto in modo di non renderlo indispensabile.

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Le opzioni per il display continuano ad essere parecchio semplici in Android così come lo intende Google. La principale feature è Display Ambient, che mostra con testi e icone monocromatiche su sfondo nero le ultime notifiche arrivate, così come data e ora correnti. Trattandosi stavolta di AMOLED, abbiamo anche i vantaggi energetici del caso e non una semplice carineria grafica come era sull’IPS del Nexus 5X. Nell’aggiornamento di dicembre è arrivato pure il cosiddetto “double tap to wake”, ovvero la possibilità di riattivare lo schermo toccandolo due volte. Funziona, anche se non sempre riconosce prontamente il doppio tocco e occorre rifarlo in maniera un po’ più decisa. Da considerare inoltre che non riattiva subito del tutto lo schermo, ma entra nella modalità Ambient. Un tocco ulteriore porta invece alla schermata di blocco.

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Multimedia

Sulla parte audio, continuo a pensare che Google si limiti a fare il compitino, non investendoci tempo e denaro quanto dovuto. Intendiamoci, non è una bocciatura, dico solo che si potrebbe fare di più, Apple docet. L’altoparlante principale continua ad essere monofonico, seppure abbia un output migliore e complessivamente più pulito del 5X. Ma da questo punto di vista il Nexus era tutt’altro che scarso, si tratta semplicemente di piccoli miglioramenti. Per parlare di quelli grossi dobbiamo coinvolgere la stereofonia e chissà che nei futuri Pixel finalmente Google non comprenda ciò in pianta stabile, invece di implementazioni sperimentali come nel 6P. La mia opinione sull’output non è stata per qualche tempo condivisibile da tutti gli utenti di Pixel, dato che alcune unità erano affette da un bug nella gestione dei volumi alti, rendendo il suono piuttosto gracchiante. La buona notizia è che si trattava solo di un difetto software, corretto con l’aggiornamento di febbraio. Più soddisfatto in generale dalla resa della capsula auricolare, dove l’interlocutore si fa sentire forte e chiaro; anche i microfoni eseguono in modo esemplare il loro dovere (e rimane l’ipersensibilità della funzione “Ok Google”). Positiva la riproduzione tramite auricolari, mentre continuo a ravvisare l’assenza di un equalizzatore di sistema. Ok, Play Music ne ha uno, ma agisce lì e fine della questione. Ciò costringe a dotarsi di una soluzione di terze parti o sperare che l’app musicale adoperata ne disponga uno suo (per fortuna Spotify l’ha implementato da qualche tempo). Una soluzione nativa sarebbe a mio avviso la più elegante, nonché ottimale in termini di resa audio e consumi energetici.

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Parliamo ora della fotocamera, iniziando dall’app. Sono stati fatti sensibili passi in avanti rispetto al passato, dove gli utenti Nexus si trovavano davanti ad un’implementazione piuttosto scarna. Intendiamoci: non è che tutto ad un tratto ogni lacuna sia stata colmata. Rispetto a quella dell’iPhone, ma anche alle controparti software presenti su Huawei e Samsung, la distanza è ancora avvertibile. Apprezziamo comunque gli sforzi profusi da Google, incoraggiandola a lavorare ancor di più per renderla finalmente completa. La schermata principale racchiude già le principali opzioni: in alto a destra abbiamo il timer, le opzioni per l’HDR automatico, la possibilità di visualizzare la griglia, qualche filtro rapido e il selettore per la modalità del flash. Tenendo premuto sull’inquadratura si può impostare manualmente il punto di focus e, se l’app capisce l’intenzione (cosa non affatto scontata), intervenire sull’esposizione attraverso un apposito slider. Scorrendo da destra verso sinistra si passa invece alle funzionalità di videocamera. Premendo sull’ormai consueto menu hamburger, si accedono ad altri modi di scatto come slow motion, panoramica, 360° e con sfocatura. Le impostazioni rimangono piuttosto essenziali, comprendendo la possibilità di attivare o disattivare la geolocalizzazione, le opzioni di risoluzione per foto e video, e infine la stabilizzazione elettronica.

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E ora guardiamo ai risultati. A livello di luminosità la fotocamera principale fa un buon lavoro, complice anche un buon algoritmo HDR che già si era fatto notare nei Nexus. La resa dei colori è piuttosto naturale e i dettagli non mancano, il tutto con un rumore molto basso grazie ad un ampio sensore. L’autofocus si comporta bene, anche se non sempre è un fulmine. In rari casi interviene con ritardo e ce ne si accorge solo dopo lo scatto, come mi è capitato nella foto sottostante di un presepe. In notturna può capitare di assistere al fenomeno del lens flare, come si può vedere in un’altra delle immagini, che appare come una sorta di cerchio luminoso, talvolta abbozzato e appena visibile, talvolta invece piuttosto intenso. Si tratta di un difetto comune negli obiettivi, che si accentua quando questi sono così piccoli come sugli smartphone. Questi ultimi compiono molto lavoro dal punto di vista software per contenere le varie aberrazioni ottiche che naturalmente esistono. Google ha ammesso che qualcosa di più poteva fare in tal senso, adoperandosi per migliorare la situazione. I primi interventi sono arrivati a dicembre e con effetti positivi evidenti, ma rimangono ancora margini di manovra e speriamo che a Mountain View continuino a lavorarci su. Riguardo i video, pur non avendone uno che meriti lo status di pubblicabile, posso dire che la stabilizzazione elettronica con assistenza hardware del giroscopio ha dato buoni risultati, contrastando il tremolio delle mie mani soprattutto a 1080p. Ne hanno risentito un po’ però i dettagli. Promossa, infine, la fotocamera anteriore, adeguata per lo scatto di selfie al volo.

Prima di concludere del tutto questa sezione, io e Maurizio abbiamo voluto fare delle piccole comparative fotografiche tra Pixel, iPhone 7 Plus e Galaxy S7 Edge. Google vuole che il suo prodotto sfidi i top di gamma, dunque ci è sembrato cortese accontentarla. Inizio dalla sfida di piattaforme, ovvero Google contro Apple. Le due fotocamere si sono comportate piuttosto bene, è difficile stabilire una reale vincitrice. Sul filo di lana, però, direi l’iPhone. Il secondo sensore rappresenta un vantaggio, per catturare quanti più dettagli possibili. Anche la messa a fuoco è leggermente migliore, così come la resa cromatica che risulta un po’ più naturale, mentre il Pixel presenta una lieve extra-saturazione. Sull’esposizione direi invece pari e patta, il prodotto Google si comporta meglio all’interno mentre quello Apple all’esterno. State comunque tranquilli che qualsiasi dispositivo sceglierete non cascherete male, si tratta di differenze che oserei definire quasi analitiche.

Ora il confronto si sposta in casa Android, ovvero Pixel contro S7 Edge. Qui mi sento decisamente più favorevole a Big G. Per cattura dei dettagli, messa a fuoco ed esposizione lo trovo meglio rispetto al rivale di casa Samsung. Quest’ultimo tende soprattutto a strafare sia quando la luminosità ambientale è bassa sia quando è alta: nel primo caso spara, nel secondo sottodimensiona. Il Pixel si comporta in modo più naturale. Dove se la giocano maggiormente direi sia nelle tonalità, nel senso che entrambi le prendono dall’iPhone. Il Pixel riscalda, mentre S7 Edge raffredda. Lo smartphone di Cupertino sta in una comoda via di mezzo che soddisfa meglio l’occhio. Anche qui, comunque, siamo a fare disquisizioni su particolari e se avete acquistato il Galaxy per le sue capacità fotografiche difficilmente vedrete nel Pixel un upgrade da valutare.

Prestazioni

Parlando delle performance, il Google Pixel è ai vertici della sua categoria. Non il più veloce in assoluto, almeno stando ai benchmark sintetici, ma comunque da top di gamma per quel che concerne l’esperienza d’uso. Quasi nessun impuntamento (dell’unico avuto ne riparlerò fra poco), sistema sempre fluido e reattivo anche in condizioni di stress. Ho notato solo una leggera tendenza al surriscaldamento, ma si rimane comunque in termini più che accettabili per la presa. Anzi, d’inverno può essere un bonus… Quasi superfluo dire che se la cava egregiamente coi giochi, accontentando anche a chi va ben oltre il casual gaming, prediligendo titoli impegnativi.

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Riguardo alla connettività, il Pixel ha un ottimo comportamento in 4G. In generale, a livello di ricezione sembra cavarsela meglio del Nexus 5X, ma non parliamo di differenze trascendentali. Se poi il livello del segnale è scarso di suo, miracoli non ne fa, non si attacca fino all’ultimo dBm utile come facevano i cari vecchi Nokia. Soddisfacente anche in Wi-Fi, soprattutto nell’upload, ambito dove il 5X è sempre stato davvero molto sotto tono. Ottimi Bluetooth e GPS, efficienti in qualsiasi caso il loro uso sia stato richiesto. Mi sarebbe piaciuto poter provare NFC, ma visto lo stato embrionale dei pagamenti contactless in Italia devo rinviare ancora una volta il mio giudizio su tale tecnologia. Vero, c’è anche lo scambio dati tra telefoni, tuttavia il Bluetooth svolge già bene questo compito, è presente su qualsiasi dispositivo e personalmente mi sembra una procedura più comoda del far cozzare nel giusto modo (ossia in corrispondenza dei ricetrasmettitori NFC) due dispositivi tra loro.

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Software

I Pixel segnano un cambiamento importante nella strategia di Google. Oltre ad essere interamente realizzati e commercializzati da essa, anche sul piano software iniziano a divergere dalla versione stock che ci eravamo abituati a vedere sui Nexus. Più in generale si può dire in modo orwelliano che c’è un Android stock, ma uno è diventato più stock degli altri. Con la versione 7.1.1 Nougat gli ingegneri di Mountain View stanno iniziando ad imprimere un’identità distinta alla propria visione del robottino verde, come fa Samsung con la TouchWiz o Huawei con la EMUI. Per ora lo si nota soprattutto dal Pixel Launcher, esclusivo dei nuovi dispositivi (tramite APK può essere applicato anche ad altri, sebbene non del tutto funzionante se non si interviene coi permessi root su alcuni file di sistema). Il classico widget con la barra di ricerca Google è stato modificato drasticamente, prevedendo una piccola area a sinistra col logo G per avviare le ricerche (con un pulsante a forma di microfono per farlo in modo vocale) e a destra l’indicazione sia della data corrente sia del meteo. La distinzione tra launcher e drawer diventa più sottile, dato che scompare l’icona centrale in basso per richiamare la lista delle applicazioni (a vantaggio di un’icona aggiuntiva formando una sorta di Dock per le app principali) e basta uno swipe dal basso verso l’alto per accedervi. Altri tocchi “Pixel only” si notano dalla tonalità generale blu applicata in molte aree di sistema, nelle icone circolari (in realtà anche sui Nexus dotati di Android 7.1 sarà possibile ottenerle, ma adoperando un launcher alternativo a Google Now), in funzionalità esclusive come la già citata modalità notturna e Google Assistant, su cui torneremo dopo brevemente. Siamo ancora agli inizi e nel corso del tempo vedremo in che modo Google distinguerà sempre più il suo Android dalle altre personalizzazioni, ma la strada è già tracciata. Unico rammarico è che non si vede alcuna voglia di andare oltre il supporto 2+1 (due anni rilasci principali, il terzo solo aggiornamenti di sicurezza). L’investimento meriterebbe maggior tutela nel tempo: se non proprio 5 anni come ultimamente garantisce Apple, almeno 4 pieni, direi. Una menzione per concludere questo paragrafo va infine al caso dei freeze improvvisi che sembrerebbe affliggere vari Pixel. In due mesi d’uso, il mio esemplare ha dimostrato un’incertezza solo una volta, quando per alcuni secondi non rispondeva più ad alcun comando nel tentativo di sbloccarlo. Per il resto, mai alcun problema di sorta.

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Nella sezione dedicata al display ho accennato a come Google abbia reso il 3D Touch non così necessario. Non quantomeno considerando le azioni principali: più in generale, per mostrare funzionalità aggiuntive Android ha sempre prediletto l’uso di menu contestuali rispetto ad iOS, che li ha usati solo quando strettamente necessari. Il 3D Touch ha fornito ad Apple una via forse più elegante per raggiungere in fondo lo stesso obiettivo. Due filosofie differenti, dunque, coi loro rispettivi estimatori.

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L’unica funzionalità che almeno all’apparenza non sembrava facile replicare senza il rilevamento della pressione è quella relativa alle scorciatoie rapide da icona. Sugli iPhone 6s/7 sappiamo che esercitando una determinata quantità pressione sull’icona di un’app possiamo disporre al volo di alcune operazioni. Su Android 7.1 Nougat il funzionamento è molto simile: tenendo premuto sull’icona per qualche istante, avremo la possibilità di visualizzare le azioni rapide. Non solo, potremo decidere di trasformare le azioni in icone a sé stanti tenendole premute e trascinandole in una parte libera dello schermo. A proposito di trascinamento, dato che la pressione prolungata serviva a rimuovere un’app dalla schermata home o proprio dal telefono stesso, come viene fatta l’operazione ora? Allo stesso modo: se si preme l’icona tenendo fermo il dito compaiono le scorciatoie, se invece durante la pressione si inizia a muovere l’icona ecco che ritroviamo le opzioni tradizionali di gestione. Altre chicche riguardano la gestione più efficiente dello spazio libero (soprattutto in abbinamento alle funzionalità automatiche di Google Foto) e, per chi apprezza la realtà virtuale, il supporto DayDream VR.

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Diamo infine uno sguardo a Google Assistant. La funzionalità non è disponibile in lingua italiana: chi proverà a metterla in azione con “OK Google” o tenendo premuto il pulsante home virtuale si troverà a che fare col classico Google Now. Impostando l’inglese o il tedesco, invece, ecco che il nuovo, anzi, la nuova assistente fa capolino. Ho effettuato alcune prove in inglese (lasciando ovviamente stare gli orari molto ravvicinati degli screenshot, li ho tenuti apposta come ultima operazione) e sono rimasto soddisfatto. Anche se non avete una pronuncia di provenienza Oxford il riconoscimento vocale fa quasi sempre il suo dovere e la risposta ci verrà data in modo gentile e naturale. Se si è abituati con Siri su iOS a sapere le ultime notizie, il meteo, inviare messaggi o pianificare appuntamenti, con Google Assistant funziona pressoché allo stesso modo. Lei stessa cerca di anticipare quale potrebbe essere la prossima richiesta proponendo suggerimenti. Non manca anche di concedersi a qualche parere personale e a battute. Detto questo, inutile girarci attorno sul fatto che finché non sarà disponibile in italiano è poco più di un test dalle nostre parti, che presuppone la convivenza con tutto il sistema in English, of course.

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Batteria

Avrà soli 70 mAh in più del Nexus 5X, ma complici un SoC più moderno, lo schermo AMOLED e una probabile maggiore ottimizzazione software, la differenza ottenuta col Google Pixel è quasi abissale. Se col 5X si fa fatica talvolta ad arrivare a fine giornata (soprattutto dopo il passaggio a Nougat), qui anche strapazzandolo un po’ si può riuscire ad andare ben oltre. Per vederlo arrivare sotto al 15% su singolo giorno ho dovuto mettermi seriamente d’impegno a sfiancarlo. Sarei stato tentato di fare un uso stile 3310 per vedere fin quanto si può spingere, ma avrei tradito la natura di questo dispositivo che non è certo quella di starsene fermo su una scrivania a non essere utilizzato durante il giorno. Con l’uso più leggero possibile che potevo farne sono arrivato a due giornate lavorative piene, tornando a casa che ancora non avevo ricevuto gli avvisi di batteria quasi scarica.

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Analogamente ai Nexus che l’hanno preceduto, il Pixel non supporta la tecnologia Quick Charge di Qualcomm e fa affidamento a quanto offerto in modo nativo dallo standard USB-C. La modalità USB Power Delivery permette di guadagnare ore preziose di autonomia in pochi minuti, anche se si è di fretta. In meno di due ore si completa invece il ciclo di carica. Il maggior dispiacere è vedere che ancora una volta la ricarica wireless è stata tralasciata, lasciando vuota una casellina che altri top di gamma Android hanno invece spuntato. Se Google vuole inseguire Apple sul fronte della qualità e dell’esperienza d’uso, gradirei lo facesse solo sugli aspetti positivi, invece di includere pure quelli negativi. Sarà per la prossima generazione di Pixel. Forse.

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Conclusioni

Se dicessi che sono rimasto completamente estasiato del Google Pixel, vi prenderei in giro. Di fronte a tante qualità, come le ottime prestazioni, l’autonomia oltre le mie più rosee aspettative e l’esperienza d’uso curata, non posso fare a meno di notare dei difetti. La scocca è realizzata con cura, lo si vede e lo si sente al tatto, ma è anche delicatissima. Lo schermo AMOLED fa il suo dovere, ma i colori potevano essere calibrati un po’ meglio. La fotocamera dà risultati positivi su tutti i fronti, tranne che sull’autofocus. La ricarica rapida c’è, continua a mancare invece quella senza fili. Non voglio però essere cattivo nei confronti di Google, è la prima volta di una nuova era e gli errori sono contemplati. Anche coi Nexus si arrivò alla piena maturità solo con la quinta generazione. Tenendo conto di ciò, però, avrei tenuto un po’ più basso il prezzo. 759 €, considerando il Pixel tedesco da 32 GB, sono davvero tanti. Per il pacchetto offerto e i difetti di gioventù, 599-629 € sarebbero stati un prezzo di partenza più giusto. La volontà di migliorarsi in quel di Mountain View però non manca affatto e sono certo che già con la seconda generazione di Pixel ci troveremo davanti a una ciambella col buco quasi perfettamente tondo.

PRO

+ Scocca di qualità pregevole

+ Foto naturali e ricche di dettagli

+ Stabilizzazione elettronica effettivamente migliorata

+ Prestazioni al vertice

+ Android 7.1.1 ha una marcia in più nell’esperienza d’uso

+ Google Assistant promette grandi cose

+ Autonomia apprezzabile

CONTRO

- Troppo delicato da considerare senza un case protettivo

- Colori del display troppo sparati di default

- Altoparlante monofonico

- Garanzia di aggiornamenti ancora lontana da Apple sul fronte temporale

- Assente la ricarica wireless

- Prezzo eccessivo

DA CONSIDERARE

| Non è in vendita in Italia tramite canali ufficiali

| Anche come conseguenza di ciò Google Assistant non parla italiano

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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