Di tutto e di più su Apple Park, dove la presenza di Jobs risuona forte

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Il 7 giugno del 2011, un uomo d’affari locale ha tenuto un discorso presso il Consiglio della Città di Cupertino. La sua presenza non era prevista, ma non fu nemmeno una sorpresa del tutto inaspettata.

Con queste parole inizia un lungo ed interessante reportage pubblicato su Wired USA, scritto da Steven Levy e fotografato da Dan Winters. I due hanno avuto modo di visitare, in un giorno dello scorso marzo, il quasi completo Apple Park; l’uomo d’affari di cui parla l’articolo è ovviamente Steve Jobs, nella sua ultima apparizione pubblica prima della prematura scomparsa. Ad accompagnare i due nel tour vi erano alcune guide d’eccezione come Jony Ive, Tim Cook, l’architetto Norman Foster e altri dirigenti Apple. Il risultato consta di diverse decine di pagine, ricche di informazioni inedite e aneddoti circa la progettazione e la realizzazione del nuovo campus di Cupertino. Chi fosse interessato alla lettura integrale, trova l’articolo qui.

L’idea di fondo di Steve Jobs per la realizzazione del nuovo campus è sempre stata quella di creare un’unica grande struttura, i cui confini tra lo spazio interno e quello esterno fossero quanto più possibile sfumati. Anche internamente sono state previste pareti e divisioni ridotte all’osso, in modo che le idee potessero fluire dinamicamente da un team all’altro, da individuo ad individuo. Se ci pensate, questa vision appare piuttosto in contrasto con le vecchie abitudini di Jobs, il quale in passato fu promotore di spaccature all’interno dell’azienda, mettendo in diretto contrasto il team del Mac con quello che lavorava al Lisa, dal quale fu espulso proprio per la sua «tendenza a disgregare le compagnie», come riportato nella sua biografia ufficiale redatta da Walter Isaacson. Ovviamente questo non significa che in Apple non ci siano più segreti o che tutti i dipendenti vengano a conoscenza di ogni progetto, tutt’altro. Per esempio il segretissimo centro di ricerca e sviluppo, diretto da Sir Jony Ive, è costituito da una struttura a sé stante, fuori dal Ring, l’anello principale.

Tim Cook, Jony Ive e l’architetto Norman Foster con alcuni sketch del progetto

Proprio parlando del Ring, c’è da dire che questa struttura non è stata concepita fin dall’inizio come un toroide, così abbiamo imparato a conoscerla. Il progetto originariamente sviluppato da Jobs e da Norman Foster, il celebre architetto ingaggiato per dare forma alle idee del CEO, assomigliava più ad un petalo di trifoglio, con tre lobi che di sviluppavano attorno ad un cuore comune. Con il tempo però Jobs ha capito che così non avrebbe funzionato: «Lo spazio interno è troppo angusto, e quello all’esterno troppo ampio», concluse in un giorno del 2010. Qualche mese dopo il progetto era virato sulla forma circolare. Tutt’ora non si sa di chi sia stato il merito di questa scelta – nel team dello studio Norman + Partners hanno lavorato al progetto oltre 250 architetti – ma a tutti sembrava comunque fosse l’opzione migliore.

Durante la visita all’Apple Park, Tim Cook ha ricordato un aneddoto dal sapore dolce-amaro. Tim e Steve stavano guardano un film, Remember the Titans. Tim si era messo a parlare del progetto del campus perché questo infondeva molta energia positiva a Steve, nel pieno della sua malattia. Ricorda che stava riferendo a Jobs di un grave problema che si erano completamente dimenticati di affrontare. Steve, stupito, chiese quale questo fosse. «Decidere quali dipendenti dovranno prendere posto nella struttura principale e quali lavoreranno negli altri uffici», rispose Tim. La cosa fece molto ridere Steve Jobs. Era il venerdì precedente alla sua scomparsa.

In effetti, a lato del Ring e del centro di ricerca e sviluppo, oltre ai parcheggi, l’auditorium intitolato a Steve Jobs e un centro fitness di dimensioni impressionanti, ancora al di là di una delle arterie stradali principali della zona sorgeranno altri edifici attualmente in costruzione, dove troveranno luogo alcuni uffici.

Tornando invece a concentrarci sul Ring, non si può fare a meno di parlare di una delle sfide più interessanti che sono state affrontate per la realizzazione del progetto. Mi riferisco alle immense vetrate che circondano la struttura a 360°.

Come costruire il più grande e resistente pezzo di vetro del pianeta? Ah, e ovviamente deve essere curvo.

Questa era più o meno la richiesta di Cupertino ai suoi fornitori. Per fortuna, Apple aveva solidi rapporti con l’azienda tedesca Seele Group, la quale si era già occupata della realizzazione delle vetrate del cubo di cristallo per lo store sulla Fith Avenue di New York. Il progetto prevedeva questi immensi pannelli alti circa 14 metri. Seele Group possedeva già un macchinario adatto a forgiarli, tuttavia la più grande fornace poteva contenerne solo uno per volta. Considerando le 14 ore di cottura necessarie e la necessità di produrre ben 800 pannelli, presto ci si rese conto che l’impresa non poteva essere portata a termine con questi strumenti. Così la vetreria tedesca richiese la progettazione di un’autoclave più grande, o meglio, la più grande – e di gran lunga – tra tutte le fornaci esistenti per la cottura del vetro. In questo modo si potevano cuocere 5 pannelli per volta, riuscendo a rispettare i tempi di consegna pattuiti.

L’interno di uno dei pod presenti nel campus

Gli uffici all’interno sono strutturati come pod, secondo il volere di Jobs. All’inizio, ricorda Foster, nessuno riusciva davvero a capire cosa il CEO intendesse con quella parola, ma fu presto spiegato. Un pod è un luogo modulare che è possibile occupare per il tempo necessario per concentrarsi e svolgere un compito, pronto per essere lasciato andando poi a sviluppare e condividere le idee altrove, con un altro gruppo di persone. Una struttura che permetta alle idee di brulicare e di passare velocemente di mano in… pardon, di mente in mente.

Il reportage di Wired analizza molti altri elementi che riguardano il design degli uffici, la progettazione delle coperture – all’inizio non volute da Jobs – che ombreggiano durante le ore più calde ed evitano che la pioggia batta sulle vetrate; o la maestosa porta a vetri dell’unico, immenso, ristorante presente nella struttura, alta quattro piani, e per la quale si è dovuto progettare uno speciale meccanismo interrato per muoverla. E ancora la cura messa da Jobs nella selezione degli alberi da frutto che sarebbero stati impiantati sulle colline artificiali circondanti gli edifici, o la selezionatissima roccia con cui si è scelto di rivestire la struttura del cento fitness.

Un dettaglio del centro fitness riservato ai dipendenti

Nonostante tutta questa attenzione ai dettagli e l’immenso lavoro svolto, Apple Park non è certo esente da critiche provenienti da più parti. Come quella di Scott Wyatt, architetto di NBBJ e firma di alcune importanti edifici di Google, Amazon e Tencent. Secondo Wyatt, l’Apple Park «è una spettacolare opera di design, tuttavia contraria al trend che si sta diffondendo tra i quartier generali delle industrie tech». In effetti, come fa notare anche il Los Angeles Times, la struttura ad anello è rigida e difficilmente adattabile a cambiamenti e sviluppi futuri. Inoltre l’Apple Park risulta essere un campus isolato, completamente in opposizione ai nuovi modelli di lavoro messi in atto da aziende come Amazon, Airbnb o Twitter, che stanno sempre più frammentando i loro headquarters, dislocandoli all’interno del tessuto cittadino e riducendo anche i costi – in termine di tempo, fatica e non solo – degli spostamenti, quando non strettamente necessari.

Apple Park rimane comunque un capolavoro dell’architettura voluto da Jobs, un luogo in cui senza dubbio si può percepire la sua mano, il suo modo di agire, nella cura e nell’attenzione ai dettagli, nonché nello spirito innovativo, con la presenza di manufatti per la realizzazione dei quali ci si è dovuti scontrare con i limiti tecnologici del tempo, e li si è superati, per arrivare ad un prodotto il cui valore è di gran lunga superiore alla somma delle sue parti.

Simone Sala

Junior Editor - Appassionato di tecnologia, mi piace analizzarne sia gli aspetti tecnici che i risvolti sociali. Sono curioso per natura e cerco sempre di sperimentare le ultime novità in qualsiasi ambito. Collaboro con SaggiaMente dal 2016.

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