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La tecnologia ha cambiato, e sta cambiando, profondamente le nostre vite. In gran parte dei casi si tratta di cambiamenti positivi, semplificando la routine quotidiana e permettendo di fare sempre più cose. Non è però tutto rose e fiori, qualche svantaggio la tecnologia può averlo. Non mi riferisco alla perdita d’impieghi o all’eventuale superamento delle capacità mentali umane, questioni temute da tanti e nel primo caso anche con fondi di verità. Sono argomenti che sconfinano sul sociale/filosofico, servirebbe qualcuno che abbia maggiore competenza in questi ambiti per addentrarsi in tali analisi. Il problema che voglio affrontare è più pratico e contemporaneo. In un mondo iperconnesso e ipertecnologico, possiamo accettare il rischio di trovarci all’improvviso, o quasi, dei dispositivi che diventano dei fermacarte?

Tante start-up tentano di sbancare il mercato con prodotti innovativi, spesso riuscendo ma altrettanto spesso fallendo clamorosamente. È il caso di Juicero, che nel 2016 ha debuttato sul mercato per rivoluzionare la produzione casalinga di succhi. Una macchina da $400, con pacchetti preparati appositamente e protetti da codici QR per prevenire i compatibili, da acquistare su abbonamento. La vicenda ha iniziato a prendere una brutta piega lo scorso aprile, quando alcuni stessi investitori di Juicero scoprirono con loro sorpresa che potevano comodamente spremere questi pacchetti a mano per ottenere il succo, invece di affidarsi alla costosa macchina. L’epilogo è arrivato ieri: vendite cessate, ultime consegne di pacchetti-succo e inizio dei rimborsi, che i clienti dovranno richiedere entro i prossimi 90 giorni.

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I possessori saranno rimborsati, certo, ma non faranno i salti di gioia nel sapere che hanno fatto un acquisto inutile di cui dovranno disfarsi. Per le macchine Juicero Press, infatti, la strada sarà inevitabilmente quella della discarica, non potendo essere utilizzate in altre maniere né essendoci un mercato di compatibili. Potremmo stare a discutere dell’effettiva necessità di una macchina smart per succhi. Potremmo anche discutere del perché colossi come Alphabet avevano deciso d’investire in un’attività come quella di Juicero. Presumibilmente pensavano di aver trovato la nuova Nespresso, non contando che dietro questa c’è un gigante come Nestlé e non una start-up. Ma ormai sono tutte riflessioni post-mortem che lasciamo agli economisti. Ciò che mi chiedo è perché rendere il progetto già zoppicante dall’inizio, con componenti proprietari protetti da codici QR e autenticati tramite costante connessione ad Internet. Capisco guadagnare dai consumabili, ma anche per stampanti o la stessa Nespresso esiste un mercato di compatibili.

È andata un po’ meglio, ma non troppo, agli utenti Pebble. L’azienda è stata acquistata da Fitbit a dicembre 2016, cancellando la sua gamma di smartwatch e preludendo alla dismissione della piattaforma. Ad aprile di quest’anno è stato rilasciato un ultimo aggiornamento software per i prodotti Pebble, rendendoli indipendenti dai server cui erano legati per l’operatività delle app. Ciò permetterà di non ritrovarsi con uno schermo spento al polso anche nel caso Fitbit decida di staccare definitivamente la spina al servizio Pebble, e probabilmente non mancherà molto visto il lancio dello smartwatch Ionic. A prescindere, il sistema è già da considerarsi un morto che cammina, la cui operatività futura sarà molto limitata, costringendo chi ha uno degli orologi coinvolti a iniziare a guardarsi attorno.

Quelli di Juicero e Pebble non sono gli unici esempi negativi. Nel 2014 la start-up Revolv, attiva nell’ambito della domotica, venne acquisita da Nest. Due anni dopo, la piattaforma remota che permetteva il funzionamento dei prodotti Revolv è stata spenta dalla nuova proprietà, lasciando gli utenti con oggetti senza alcun scopo ulteriore se non quello di raccogliere polvere. Un utente, Arlo Gilbert, accusò senza mezzi termini Nest di cessargli di fatto il funzionamento dell’intera casa, visto quanto dipendeva da Revolv. Ma i problemi non sono solo nelle disconnessioni permanenti. Anche quelle temporanee sono in grado di causare problemi. A luglio 2016, i sistemi Nest andarono ko, rendendo impossibile agli utenti regolare tramite app la temperatura interna degli edifici. Chi era in casa poteva aggirare l’inconveniente regolando manualmente il termostato; chi invece era fuori e magari aveva lasciato una persona anziana o un animale domestico poteva solo sperare nella rapida ripresa del servizio.

C’è poi un altro problema importante legato a questi dispositivi smart, ovvero la sicurezza. Molti ricevono un supporto minimale da parte dei produttori, se non addirittura nullo, con la conseguenza di esporre gli utenti alla mercé di eventuali malintenzionati. Basta effettuare una ricerca sul portale Shodan per vedersi aprire un mondo di dispositivi poco protetti. Tanti, troppi partecipano involontariamente a una versione globale del Grande Fratello solo perché le loro videocamere smart di sorveglianza hanno il loro indirizzo IP pubblico online. Un attacco ben sferrato può crearci guai virtuali e anche fisici. Non per forza dobbiamo pensare alle intrusioni: un danno fisico può anche essere provocato dallo script kiddie che decide di metterci fuori uso il nostro frigorifero intelligente facendo andare a male il cibo in esso contenuto.

Qui ho descritto solo alcuni dei casi più eclatanti, ma situazioni spiacevoli legate alla cosiddetta Internet of Things sono all’ordine del giorno, come testimonia l’account Twitter Internet of Shit. Potrebbe sembrarvi a questo punto che la mia conclusione è: scolleghiamo tutto e torniamo ai vecchi tempi. Tutt’altro. Adoro gli oggetti smart, ne faccio costante uso e hanno migliorato la mia vita, come hanno fatto con quella di tanti altri. Ma sono conscio dei potenziali rischi, di ritrovarmi con qualcosa non più funzionante perché l’azienda produttrice è fallita o è stata venduta ad una più grande, o ancora perché non ha curato la sicurezza dei suoi prodotti. Occorre spronare i produttori affinché i dispositivi che acquistiamo non vengano lasciati a sé stessi e che dove possibile permettano di ricorrere ad alternative per mitigare i casi peggiori. Solo allora la parola smart potrà davvero tener sempre fede al suo significato.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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