USB-C: una nuova speranza rimasta promessa

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Nell’ultima puntata del SaggioPodcast ho ribadito le mie numerose perplessità sulla porta USB-C. Sulla carta sembrerebbe assurdo esprimere reticenza visto che è più comoda, compatta, veloce e flessibile della USB-A, eppure qualcosa non sta andando per il verso giusto. Ideale per smartphone e tablet, dove non c’è davvero nessun contro, sui computer sta faticando molto ad imporsi perché in realtà non sostituisce la USB-A al 100%. È più veloce, supporta la ricarica e con opportuni adattatori può far gestire praticamente di tutto, compreso il segnale video, ma se già si volesse un banale hub che da una porta ce ne dia quattro o sette di USB-C, si scoprirebbe che non è possibile. Pure gli hub più costosi al massimo la duplicano, lasciando una porta passante per la ricarica. Tutto ciò dipende dal fatto che la USB-C è più simile ad una Thunderbolt e non è così semplice moltiplicarla come pani e pesci (almeno per quelli dicono che qualcuno ci sia riuscito una volta).

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Per cui se io ho una sola porta USB-C e voglio adottare il nuovo standard, magari inizio a comprare pendrive, hard disk, lettori di memorie ed altre periferiche con la medesima connessione, per poi accorgermi che non avrò modo di usarli insieme (al massimo 4 sui costosi MacBook Pro Touch Bar) e mi converrà ripiegare sulla precedente USB-A. Già questo è un freno alla diffusione ma lo è ancor di più il fatto che per il 90% degli accessori che normalmente colleghiamo al computer, la sua velocità di 20GB/s nella Gen. 2 è essenzialmente inutile oggi come nel medio periodo. Inoltre si è fatto davvero un minestrone con le specifiche, tant’è che una porta “tipo” si dovrebbe chiama USB Type C 3.1 Gen 2… con scappellamento a destra, ovviamente. La forma contratta USB-C un po’ ci aiuta, ma il punto è che quello è solo il formato del connettore mentre le specifiche ce le danno la versione e la generazione. Se già non fosse abbastanza incasinato così, ecco che viene meno anche la conseguenza logica secondo cui cambiare forma non dovrebbe influire sul resto a parità di generazione e versione: una USB-A 3.1 Gen 2 avrà la stessa velocità ma non sarà in grado di emulare una uscita video nativa, ad esempio.

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Un altro problema è quello dei cavi e l’ho detto più volte. Non c’è una classificazione univoca e anche quelli apparentemente identici possono differire moltissimo per specifiche. Il cavo USB-C/Thunderbolt 3 di ricarica dei MacBook, ad esempio, gestisce completamente il Power Delivery con il profilo più alto necessario ma è un USB 2.0 se lo usiamo per lo scambio dati e non supporta il video. Poi ci sono gli USB 3.1 di diversa generazione e persino quelli Thunderbolt 3, tutti apparentemente identici ma che addirittura si possono suddividere in altre sottocategorie in base alla combinazione di versioni USB-C e Thunderbolt (che a loro volta possono creare incompatibilità).

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Purtroppo la speranza che questa confusione si risolvesse in tempi brevi è rimasta tale, in gran parte per i motivi che ho già citato. Evito il discorso sugli adattatori, perché ho notato che il suo impatto può variare molto da persona a persona e molti risolvono tutti i loro problemi con un banale USB-C/USB-A. Ma chi usa il portatile come un ufficio mobile ha purtroppo altre esigenze. Io, ad esempio, non posso permettermi di uscire di casa senza avere almeno due USB-A contemporanee oltre alla ricarica, lettore di schede SD/microSD ed uscite video HDMI 2.0 e DisplayPort 1.2. Anche sui fissi si presenta un problema che ho riscontrato nell’iMac 5K 2017, dove però Apple ci ha almeno lasciato 4 USB-A tradizionali. Se ci serve gestire un segnale video in uscita siamo costretti a passare proprio dalla USB-C (con adattatore), lasciandone una sola libera, e non è più possibile gestire la modalità target per adoperarlo come monitor (neanche scalato in 4K come il pannello di LG). Il problema sul desktop è per quelli che hanno periferiche professionali Thunderbolt, anche di generazione 2, in quanto basta aggiungerne una al secondo monitor e si è saturato il limite, tranne per i casi in cui questa venga replicata in cascata sul dispositivo connesso. Ma queste “cascate” non è che diano poi sempre affidabilità al 100% e la percentuale scende drammaticamente se c’è di mezzo USB-C.

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Il vero punto di forza della nuova connessione in ambito portatile doveva essere quello di poterlo trasformare in un desktop connettendo un unico cavo. La cosa è possibile, in teoria, ma in pratica è una mezza tragedia. Io ho provato un 27″ di LG che caricava lentamente il MacBook Pro 15″ e solo con il suo cavo originale, solo da un verso (che su una porta simmetrica fa quantomeno sorridere), forniva un numero limitato di porte USB-A (2) e neanche perfette nel funzionamento.

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Se poi ci si azzarda a lavorare con hub USB-C, l’equilibrio è così precario che è sufficiente solo per usi occasionali ma non per lavorare. Pur stando molto attenti ai cavi, tutti gli hub e i dock provati (sono sopra quota 10) risultano suscettibili a disconnessioni improvvise che li rendono inadatti per un professionista. A me dopo che si è scollegato 3 volte il DAS RAID 5 che uso per i montaggi proprio mentre ci stavo lavorando, è passata la voglia di far passare le cose importanti dagli hub USB-C, su cui piazzo giusto il ricevitore di mouse e tastiera, pennette di passaggio e cose così. E anche l’hub più costoso di sempre, come Luca chiama scherzosamente il suo LG UltraFine 5K, ogni tanto impazzisce e scollega una o più periferiche (successo con il microfono proprio qualche istante prima di iniziare la registrazione dell’ultima puntata del SaggioPodcast).

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Il punto è che in teoria è tutto perfetto, o quasi, mentre in pratica non ci siamo proprio. Permangono seri problemi nel gestire la Power Delivery e insieme i flussi dati, tant’è che BenQ ha pensato di creare un monitor con un hub USB-C alla base gestendoli come due dispositivi differenti e con separata alimentazione. Mi è arrivato proprio ieri e devo dire che almeno lui sembra riuscire a caricare il MacBook Pro 15″ ed offrire uscita video e tante connessioni funzionanti.

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È da oltre un anno che, fiero del mio portatile che si ricarica con un porta “standard”, sto cercando un alimentatore compatibile da lasciare in borsa… eppure trovarne uno da 87/100W è praticamente impossibile. All’epoca del primo MacBook è iniziata una transizione e si sapeva che avrebbe richiesto un po’ di tempo, ma se nel passaggio anche io che sono disposto a spendere per ottenere stabilità e performance non trovo soluzioni, allora vuol dire che qualcosa non va. La Thunderbolt 3 dovrebbe venire in aiuto per le esigenze più importanti, ma anche lì non sono affatto rose e fiori. Ho provato tantissimi Dock ed ora ho in test i più recenti e potenti creati da OWC e Calldigit, completi e bellissimi. Eppure già la banalissima DisplayPort sul retro crea problemi con diversi monitor: sfarfalla o ti costringe a scendere sulla versione 1.1 perdendo sul refresh rate. E se lo fanno tutti i Dock (sono a quota 4) allora il problema è a monte. Mi viene in mente proprio ora di aver scritto che non mi piace lamentarmi in un articolo, e questo non più di una settimana fa. Per cui evito di elencare tutte le altre brutture di questa miscela di chip impazzita e attivo la mia modalità propositiva.

Iniziamo dal nome: USB-C basta

Per partire con il piede giusto, la USB-C avrebbe dovuto avere una classificazione più semplice e dedicata. Si partiva da “USB-C e basta!“, le cui specifiche multi formato includevano quelle di USB 3.1 così come già ora si dice riguardo a DisplayPort 1.2, ad esempio. In futuro si sarebbe potuta avere la 1.1, la 2 o quel che si voleva, ma con una propria chiara progressione. Non sarebbe stato perfetto, perché in realtà il nome della porta non coincide con lo standard, ma sarebbe stato comunque molto meno confusionario di così. Inoltre già la USB “tradizionale” l’abbiamo sempre chiamata solo USB e non USB-A finché non è arrivata la C a rompere… le uova nel paniere.

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Solo mix autorizzati per la sicurezza di tutti

Diciamo pure che ci piace l’idea che Thunderbolt 3 e USB-C abbiano lo stesso connettore, cosa che personalmente ritengo sbagliatissima, i produttori dei chip e dei dispositivi hardware che li adoperano, avrebbero dovuto stabilire a monte (e dopo numerose prove) cosa può essere abbinato a cosa e garantire compatibilità, al massimo con riduzione di banda nel caso di specifiche precedenti. Se proprio volete andare a braccetto, cercate almeno di sincronizzare i passi. La stessa cosa doveva essere obbligatoria per i cavi. Capisco che Apple avrà risparmiato $0,00001 per ogni MacBook in cui ha messo un cavo Thunderbolt 3 con misera compatibilità USB 2.0, ma io lo avrei vietato categoricamente. È così che si inizia a generare confusione.

Cavi e porte abbinati: non è difficile!

Sbagliando s’impara, si dice spesso, ma anche quando si fa una cosa giusta si dovrebbe imparare qualcosa. Con la USB tradizionale abbiamo porte colorate di nero per le 2.0, di azzurro per 3.0 e rosso per 3.1. Era tanto difficile fare la stessa cosa con USB-C? Tra la Gen 1 e la Gen 2 cambia già parecchio ma ora è in arrivo la 3.2 che consentirà di raddoppiare ancora sfruttando in contemporanea i cavi di entrambe le direzioni e non è una roba da poco. Per me poteva già essere la USB-C 2 e avrebbe dovuto avere un proprio colore. Si potevano usare gli stessi già presenti nelle USB-A oppure pescarne di nuovi… non so, verde. E il colore dovrebbe stare sia sul connettore che sulla porta, di modo che l’abbinamento sia elementare e risulti chiaro anche l’uso di un cavo non adatto alla periferica. Per non dimenticare gli ipovedenti, bastava magari aggiungere un simboletto semplice in rilevo (facile sul connettore, un po’ meno sulla porta).

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Specifiche certe: lo standard è standard

Se si parla di standard non ci devono essere “se” e “ma”. Questa storia che passando da un dock USB-C l’uscita DisplayPort 1.2 può non risultare compatibile con alcuni monitor DisplayPort 1.2 è assurda. Così come è stato assurdo che i primi dispositivi T3 con i vecchi chip USB-C non sono stati riconosciuti sui Mac, neanche ignorando la componente USB. Ma la cosa da risolvere subito riguarda il Power Delivery, abbreviato PD… Dal momento che si sta ripartendo da zero in un mondo già ricco di complicazioni vista la quantità di dispositivi alimentati con batterie ricaricabili, si doveva inderogabilmente approfittare per rendere chiaro all’utente di cosa ha bisogno. Il consorzio USB ha già suddiviso in 5 profili di base le capacità di ricarica, bastava portarle anche su USB-C e renderne obbligatoria la visibilità ovunque: cavo, computer, smartphone, alimentatore e relative confezioni. Così se ho un MacBook che richiede PD5 so che devo comprare un alimentatore con cavo PD5, semplice semplice e servito su un piatto d’argento.

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Guardate, io uso USB-C tutti i giorni praticamente ovunque, perché mi accerto che i computer che assemblo e anche i portatili Windows che mi girano intorno, abbiano sempre almeno una di queste porte. Ed ho già una marea di dispositivi, cavi ed adattatori, hub e dock sia per uso personale che per i test dedicati al sito, per cui non voglio assolutamente tornare indietro. E non sto dicendo che Apple non dovesse adoperarla o che non sia “il futuro”, tuttavia l’attuale fase transitiva sta durando troppo e ci sono i sintomi di uno stallo piuttosto evidenti. Non mi aspetto di muovere chissà quali acque con questo articolo, anche perché ormai la frittata è fatta e non possono certo riconfezionare le uova. Tuttavia i problemi sono evidenti, il margine di miglioramento c’è tutto e le soluzioni non sono poi così difficili da trovare. E de proprio vogliono continuare con questa disorganizzazione endemica, spero almeno che voi abbiate trovato qualche informazione utile tra queste righe.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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